domenica 22 dicembre 2024

Natale in casa Quartararo

 

Per quelli come me il Natale è un periodo in cui il leit motiv delle giornate è un continuo rimuginio della merda che hai dentro. Gli spot, l'atmosfera, le deliziose luci che addobbano le strade rappresentano una minaccia per l'equilibrio precario che ti invoglierebbe a prendere una buona dose Tavor per risvegliarti direttamente il 7 Gennaio.

Neanche quand'ero piccola riuscivo a godermi il momento, provavo solo un grande disagio e un enorme senso di straniamento, come se fossi stata adottata. Intorno a me il delirio: 15 cugini, 30 zii, una nonna uscita da un romanzo di Pennac e la percezione che nemmeno quell'anno avrei ricevuto Barbie Magia delle feste giacché era risaputo che Babbo Natale voleva bene di più ai bambini più ricchi e anche alle tue cugine che puntualmente ricevevano i giochi più in voga del momento. 

Il momento che detestavo di più era la cena. Il menù e le persone invitate erano sempre le stesse fin quando non hanno cominciato a morire come in Dieci Piccoli Indiani di Agata Christie e i natali successivi si trasformavano nella demprimenda commemorazione dell'ei fu. Più che Natale, la cena, tra un tortellino in brodo e il tiramisù di mia zia, diventava un 2 Novembre molto rumoroso.

Passavo gran parte del 24 sera a fissare l'albero di Natale pendente a casa di mia nonna, gran parte delle volte era lì che ci riunivamo. L'albero non veniva mai disfatto, lei lo conservava addobbato dentro un sacco dell'immondizia per poi tirarlo fuori l'8 dicembre completo di palline e luci. Lo sfoderava dalla enorme busta nera e dopo averlo brandito e sistemato alla bell'e meglio lo piantava sull'enorme vaso di coccio pieno di terra che stava tutto l'anno nel suo salotto.

Poi quando mia nonna esordiva con:"Giochiamo per far divertire i bambini" con gli occhi luccicanti, mentre tirava fuori dal reggipetto il suo bottino tintinnante di monete da duecento lire era il momento in cui sentivo più forte la sensazione di essere stata scambiata nella culla. Era il momento in cui mia nonna si trasfigurava in una ludopatica assatanata.

Mio padre che lo sapeva, adesso anche lui uno dei dieci piccoli indiani insieme alla matriarca, la faceva impazzire rigettando nella sacca i numeri che le avrebbero permesso di vincere e mia nonna che se ne accorgeva lo inceneriva con lo sguardo ricoprendolo di insulti.

Fortunatamente poi arrivava qualcuno che provvidenzialmente tirava fuori il set di panettoni, l'amaro Averna per digerire il panettone e il Brioschi per digerire l'amaro.

Insomma tutto oro che cola per poterci scrivere due o tre manuali di sociologia e pagarci uno che ti ascolta a 40 euro l'ora.

Anche quest'anno il mio punto di vista non è cambiato, il Natale è un' opinione. E la mia opinione è quella del tacchino e del roastbeef. 








4 commenti:

  1. Grandissima Arianna, meglio di così non potevi descriverlo... addirittura la cosa dei numeri rigettati è mooolto simile alla routine annuale sempre con le stesse persone . Ma siamo tutti così uguali ?

    RispondiElimina
  2. Io volevo forte forte Baby Mia. Un anno ero rimasta così male che non fosse sotto l'albero che mio padre si giocò la carta segreta e tirò fuori dal cilindro un "pacchetto che Babbo Natale aveva dimenticato" fino a quando non lo vidi ci sperai forte forte che avesse dimenticato Baby Mia, invece il pacchetto era quadrato e poco alto, una scatola. Con dentro la dama che se la giravi dall'altra parte potevi giocare a tris.

    RispondiElimina