La Sicilia dovrebbe fare continente a parte, almeno per la lingua. Al di là delle diatribe sull’origine dell’
Italiano e gli eterni scornamenti tra la Scuola Fiorentina e quella Siciliana, la lingua dell’Isola più grande d’Italia dovrebbe essere considerata patrimonio dell’UNESCO. Tuttavia, all’interno della regione esistono varie correnti di siciliese che a diverse latitudini, ha regole non sempre valide. Il palermitano per esempio costituisce un tomo singolo del dizionario Italiano-Siciliano.
Innanzi tutto per imparare il palermitano corrente, bisogna avere in mente che le lettere r, l, g, q, non solo sono intercambiabili, ma anche opzionali; così che una morbida sciarpa diventa una molbida scialpa,il quaderno si trasforma in guaderno, il problema diventa un probrema- più b ci sono più il probbbrema è grosso- soprattutto se non hai cinguanta euro nel partafoglio.
La “r” è in assoluto la lettera Jolly, come a scala quaranta, la metti dove vuoi e ci sta sempre: quartordici, interpretrazione, cardo (per dire che c’è caldo, non il gambo del carciofo).
Un’altra caratteristica precisa, poi, è il togliere le doppie quando ci vogliono e metterle quando non serve, e quindi abbiamo che il piccante è meno piccante perchè è picante e che la mia nuova bigigletta è nuova fiamante.
Altra regola che bisogna tenere a mente è l’invertibilità della p e la f.
“Scusi, vorrei una penna a sfera”
“Gaetano, piglia una penna a spera alla signorina, ma non ti sporzare troppo col braccio”.
Ok. Metto la penna a spera, aspetta e spera, nella mia borza.
Tutto questo perchè il dialetto palermitano è femmina, tanto da dovere sempre cambiare sesso, quando si può, a tutte le cose per renderle maschili: lo scatolo, l’unghio, il pruno, lo sticchio. Ma la lapa, la minchia, la raggia, quelle rimangono femmine.
Insomma, giù al nord c’è l’Accademia della Crusca e al sud l’accademia dello Scaccio e della Semenza.
E a noi lo scaccio, ci piace. Pultroppo.
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